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IPB: quali sono le terapie alternative agli interventi standard?

Negli ultimi anni sono state proposte molte terapie mini invasive per il trattamento dei sintomi legati all’ipertrofia prostatica benigna, alternative agli interventi disostruttivi standard come la TURP e i laser. Vediamo quali sono e in che cosa consistono.

Urolift

Urolift è un sistema di impianti che realizza l’ampliamento dell’uretra prostatica mediante la compressione dei lobi prostatici. Se immaginate un sipario, gli impianti agiscono sui lobi prostatici esattamente come le corde agiscono sulle tende, retraendole ai lati e aprendo lo spazio tra di esse. La procedura non prevede quindi la resezione, il riscaldamento o l’asportazione del tessuto prostatico che viene semplicemente compresso alla periferia mediante l’infissione di suture autostatiche permanenti, inserite per via endoscopica. Gli studi hanno dimostrato che Urolift migliora il flusso urinario, i sintomi e la qualità di vita dei pazienti, sebbene in misura minore di quanto faccia la TURP. Il tasso di ritrattamento nel corso dei primi 5 anni è del 14%. Effetti collaterali come il sangue nelle urine, la disuria, l’urgenza minzionale, il dolore pelvico e l’incontinenza transitoria sono lievi-moderati e si risolvono nell’arco di 2-4 settimane. Urolift supera la TURP in termini di preservazione della funzione erettile e eiaculatoria. Non tutti i pazienti però possono essere trattati con questa tecnica: se la prostata è molto voluminosa o presenta un terzo lobo protrudente in vescica Urolift è controindicato.

iTIND

iTind è un dispositivo studiato per rimodellare il collo vescicale e l’uretra prostatica. È formato da tre puntoni di pressione e una aletta di ancoraggio collegati ad un filo per la retrazione.

Il dispositivo viene inserito sotto visione endoscopica in forma ripiegata e, una volta raggiunta l’uretra prostatica, viene espanso. La forza radiale con cui i tre puntoni comprimono il tessuto prostatico è il meccanismo con cui il dispositivo crea un danno ischemico al tessuto, che si retrae ampliando il lume uretrale. La procedura si può eseguire in semplice sedazione, non richiede ricovero né l’inserimento di catetere vescicale. Il dispositivo viene lasciato in sede per 5 giorni dopo i quali viene rimosso mediante una semplice procedura ambulatoriale. Studi preliminari hanno dimostrato la tollerabilità, la sicurezza e l’efficacia della procedura, che rispetta i criteri di mini invasività e preserva la funzione sessuale. Sono in corso studi comparativi con le procedure di riferimento e mancano ancora i risultati a medio-lungo termine che dovranno rivelare quanto i benefici di iTind possono persistere nel tempo.

Rezum

La terapia Rezum agisce secondo un principio termico, sfruttando il vapore acqueo e la sua proprietà di diffusione convettiva del calore. Attraverso una sonda trans-uretrale dedicata il vapore acqueo viene introdotto all’interno dei lobi prostatici. L’energia termica si diffonde nel tessuto prostatico sfruttando gli spazi tra le cellule e determinando la rottura delle membrane cellulari. Nell’arco di qualche settimana l’effetto termico produce una progressiva riduzione del volume prostatico, diminuendo così l’ostruzione cervico uretrale. Non potendosi diffondere esternamente alla capsula prostatica, il vapore acqueo produce il suo effetto termico esclusivamente nell’organo bersaglio senza danneggiare i tessuti circostanti. La procedura può essere eseguita in semplice sedazione, richiede solo 5 minuti e non necessita di ricovero. L’infiammazione prodotta nella prostata dal vapore acqueo rende necessario che il paziente rimanga cateterizzato qualche giorno per evitare la ritenzione di urina. Entro le prime due settimane il paziente comincia ad avvertire un miglioramento della sintomatologia, tuttavia possono essere necessari due o tre mesi perché la terapia produca tutta quanta la sua efficacia. Gli studi hanno dimostrato che l’efficacia si mantiene inalterata a 4 anni dalla terapia e che in questo lasso di tempo il tasso di ritrattamento è del 4%. Il profilo di sicurezza è favorevole con effetti collaterali di lieve-moderata entità che si risolvono in breve tempo. Il mantenimento dell’eiaculazione rappresenta un punto di forza di questa metodica che, se dimostrerà la non inferiorità rispetto alle tecniche di riferimento, potrà proporsi come una interessante alternativa mini invasiva.

Acquablation

AquaBeam sfrutta il principio dell’idrodissezione per ottenere l’ablazione del tessuto prostatico. In questo caso è la pressione dell’acqua, e non la sua temperatura, a promuovere il danno tessutale risparmiando le strutture composte da collagene, come i vasi sanguigni e la capsula dell’adenoma.  Il trattamento viene pianificato dall’operatore grazie ad un software che elabora le immagini ecografiche ottenute per via trans-rettale. La sonda endoscopica, montata su un braccio robotico, esegue quindi automaticamente l’operazione programmata. Al termine della procedura di ablazione per assicurare l’emostasi è necessaria l’azione compressiva del palloncino di un catetere oppure la coagulazione endoscopica mediante ansa diatermica o laser. I primi studi, riguardanti prostate inferiori agli 80g e con i limiti di un follow up a breve termine, dimostrano che la tecnica Acquablation ottiene risultati non inferiori alla TURP, con tassi di eiaculazione retrograda inferiori. Resta ancora da chiarire però quale sia il metodo più efficace per ottenere l’emostasi al termine della procedura.

Embolizzazione delle arterie prostatiche

L’embolizzazione delle arterie prostatiche è una procedura di radiologia interventistica che agisce riducendo l’apporto sanguigno alla prostata. Ecco come si svolge la procedura: il radiologo inserisce un sottile catetere all’interno dell’arteria femorale o dell’arteria radiale e sotto guida radiologica procede fino a raggiungere le arterie prostatiche. A questo punto vengono iniettate delle microsfere che ostruiscono le arterie impedendo al sangue di raggiungere l’organo bersaglio. Si crea quindi un vero e proprio infarto della prostata, proprio come quando a livello cardiaco le arterie coronarie vengono ostruite dalle placche aterosclerotiche. L’importante vantaggio di questa metodica è la sua esecuzione in anestesia locale e senza necessità di ricovero. Le limitazioni alla buona riuscita dell’embolizzazione sono rappresentate da anomalie anatomiche dei vasi arteriosi diretti alla prostata, o complessi quadri di aterosclerosi che non permettono al radiologo di raggiungere le arterie prostatiche. Studi effettuati su oltre 1000 pazienti hanno dimostrato una riduzione media del volume prostatico del 26% e un miglioramento della sintomatologia nel 67% dei casi, che si mantiene a 3 anni dalla procedura. Sembra che siano i pazienti con prostata più voluminosa coloro che traggono maggiori benefici da questa tecnica. Nei confronti della TURP l’embolizzazione delle arterie prostatiche richiede più tempo, è meno efficace nella risoluzione dei sintomi e nel miglioramento del flusso urinario. Tuttavia le perdite ematiche, i tempi di cateterizzazione e ospedalizzazione sono inferiori per l’embolizzazione, che può rappresentare una valida alternativa per pazienti molto anziani, fragili o con importanti patologie concomitanti. Mentre la valutazione clinica dei pazienti con sintomi correlati ad ipertrofia prostatica rimane di competenza urologica, l’embolizzazione delle arterie prostatiche è una tecnica complessa che deve essere eseguita esclusivamente da radiologi interventisti esperti.

Le tecniche alternative mini invasive sono la scelta giusta per chi è disposto ad accettare un compromesso tra efficacia a lungo termine e complicanze ed effetti collaterali dall’altro.